Curiosità - Massimo Siviero

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a proposito di alcune premonizioni…
                   
da Arteecarte
“Libri senza tempo”
di Mario Pagano


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Con questo “Un mistero occitano per il Commissario Abruzzese” (Claudiana Ed.), Massimo Siviero, giornalista e scrittore, è, come giallista, al suo terzo lavoro: con Camunia, infatti, ha pubblicato “Il diavolo giallo” e con Lo Stagno Incantato “Il terno di San Gennaro” (Premio Napoli in giallo e premio speciale Procida, Isola di Arturo, Elsa Morante), primo e secondo della stessa trilogia.
L’occitano è, come si sa, la lingua dei Valdesi, e valdese è la casa editrice di questo giallo (sui Valdesi della Calabria c’è una nota dell’editore alla fine del volume) ma, soprattutto, il primo delitto avviene a Guardia Piemontese, enclave valdese in provincia di Cosenza.
Mentre il commissario Abruzzese è in soggiorno di cura presso le Terme Luigiane, Guardia Piemontese conosce il brivido di un assassinio: quello di un sacerdote. Misteri e morte si scioglieranno poi su tutt’altro sfondo: Napoli, dove sarà necessario organizzare la vigilanza di ben 182 parrocchie e 26 chiese non parrocchiali, per evitare una strage di preti (ma per motivi diversi saliranno poi alla ribalta, oltre alle chiese, anche la Biblioteca Nazionale, per la sparizione di un libro antico, e quello che Siviero chiama il triangolo delle Bermuda mediatiche, cioè l’intersecarsi delle strade ospitanti le redazioni de “Il Mattino”, “Roma” e “La Repubblica”). A questo punto, ad avviso del recensore, il discorso sui fatti di un giallo non può che troncarsi: non c’è in letteratura altro tipo di racconto del quale sia altrettanto necessario omettere tutto ciò che attiene alla trama, giacché, al di là di pur legittimi ma solo eventuali intenti di un messaggio, il poliziesco si raccomanda essenzialmente per l’inaspettato, l’imprevedibile che sta sempre dopo il prossimo rigo.
L’occitano fa capolino già nelle prime pagine, quando Abruzzese trova in una tasca della sottana della prima vittima un foglietto su cui si leggono sei versi che cominciano: "Paise in chiele e paise in terre…" (Pace in cielo e pace in terra). L'occitano parlavano i nuclei di Valdesi rifugiatisi, per scampare alle Persecuzioni subite in Piemonte ed in Provenza (XIV e XV secolo), in Calabria e lì stabilitisi: a Montalto, San Vincenzo, Castagna, La Guardia (Guardia Piemontese). L'autore è palesemente affascinato, oltre che da quell'idioma, dal fattore "nomi" : Abruzzese è proprio di origine avezzanese, e fra i trenta personaggi figurano un Polifemo, un Caronte, un Orfeo, un Bellissimo, un Carlo Magno.
Quando gli è stato chiesto perché mai un napoletano abbia sentito il bisogno di rinnovare il ricordo della violenza subita dai Valdesi, Massimo Siviero ha risposto di essersene sentito coinvolto sia emotivamente perché aveva conosciuto, e molto bene, la comunità valdese di Guardia Piemontese, sia storicamente in quanto Napoli "è stata protagonista di quelle crociate durante il viceregno spagnolo che incoraggiò l'Inquisizione".
Con Siviero si ha, dunque un capovolgimento della funzione del giallo: secondo una originale inversione di formule che egli stesso ha messo a punto in un’intervista purtroppo passata sotto silenzio, esso è oggi "romanzo di invasione delle coscienze". Coscienze che è giusto invadere, a parere di questo autore dichiaratamente cattolico e dichiaratamente antifondamentalista, per svegliarle dal sonno dell'assuefazione e liberarle da paura ed egoismo. Perché solo a questo patto, egli sembra dirci, quel piacere di moltiplicare la vita in cui si è sempre sintetizzato il gusto di scrivere romanzi (anche, o in particolare polizieschi) diventa, oltre che emozionante, eticamente auspicabile.
Prima di congedarci da questo libro, è necessario che noi assolviamo ad un obbligo nei riguardi di Siviero: quello di riconoscergli il dono del presentimento. Nel romanzo, infatti, scritto più di un anno prima dell'attentato alle Twin Towers (11 settembre del 2001), si trovano segnali di preveggenza: sull'Islam, sull'integralismo religioso (e conseguente intolleranza), sul terrorismo. Vi si parla, anzi, di un uomo ricercato perché accusato, appunto, di terrorismo e di adesione al GIA (Gruppo Islamico Armato): il suo vero nome non è (come nel testo) Ben Boghari naturalmente, ma la sua esistenza è reale, non di pura fantasia. Egli "si preparava a compiere attentati negli States e in Italia". Bloccato all'aeroporto di Capodichino, era riuscito a fuggire e "inspiegabilmente gli americani non avevano emesso mandato di cattura internazionale".
Ma c'è molto di più. Nel precedente, citato,
"Il terno di San Gennaro", Siviero, a proposito della possibilità di utilizzare le api, piegandone la straordinaria duttilità a strategie lecite e meno lecite, così fa esprimere un personaggio: "Sono insetti estremamente suscettibili e hanno l'odorato più sensibile di un cane". Ebbene a tre anni dalla pubblicazione di quel romanzo,
Alan Rudolph, direttore del programma di ricerca del Pentagono, ha dichiarato: "Gli ultimi esperimenti hanno dimostrato che le api sono sensibili agli odori, almeno quanto i cani".
Esse sono state addestrate a individuare odori diversi da quelli dei fiori e si è constatato che, appena una sola di esse registra lo stimolo, anche il resto dell'alveare si muove. Nel giallo di Siviero l'assassino adopera queste doti delle api (...).
Se sia da attribuire soltanto al caso questo intreccio tra realtà e fantasia, in cui la penna di uno scrittore napoletano anticipa un intervento del Pentagono (le api sarebbero state poste sulle tracce di kamikaze per fiutarne l'esplosivo e farli catturare) o se, viceversa, esista davvero qualcuno (un'Agenzia) che, come ne "I sei giorni del Condor", analizzi e "salvi" ogni rigo che si pubblica in tutto il mondo: ecco un interrogativo per 007, politici, giallisti.

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Qualche domanda a Massimo Siviero
L’ intervento è apparso anche sul blog  ‘Nzularchia
(con nostro grande rammarico, ha gettato la spugna e  ci auguriamo di rivederlo al più presto in funzione con la consueta arguzia sul giallo napoletano).


Qual è secondo lei la situazione del giallo napoletano oggi (se esiste oggi un giallo "napoletano")?
Esiste, e non da oggi, una via privilegiata al thriller nostrano. Il giacimento eruttivo di tradizioni, storia, mitologia, cronaca sociale e criminale, può produrre frutti considerevoli. La materia prima è consistente. Il prodotto finito abbondante ma non sempre di qualità. Tutti si vogliono cimentare in una storia nera ambientata a Napoli. Si punta troppo sull'ambientazione e troppo poco su tutto il resto. I dialoghi sono spesso da commedia. Per fortuna, tra luci e ombre, non mancano autori interessanti.
 
Che cosa, al di là dell'ambientazione e del puro e semplice dato anagrafico dell'autore, rende un giallo davvero "napoletano"?
Il giallo napoletano, come ho appena detto, non è caratterizzato esclusivamente dagli elementi geografici e topografici che pure svolgono un ruolo non secondario. Il dato anagrafico dell'autore può risultare essenziale come bagaglio di "vissuto" e di conoscenze. Un non napoletano che vive da una vita a Napoli è in grado di scrivere un giallo, una storia mystery o nera. Benedetto Croce non era napoletano (non era giallista) e ci ha regalato gioielli di mistero e di leggende. Piuttosto nella scrittura di un giallo partenopeo hanno una grande importanza gli elementi storici, mitologici, antropologici, linguistici, sociali, psicologici, oltre ovviamente a quelli topografici e ambientali. Dobbiamo fare i conti con radici e tradizioni molto forti. Il thriller napoletano è un giallo diverso, deve fare la differenza, è condannato a fare la differenza: tutti si aspettano da Napoli qualcosa di originale e di straordinario. In oltre duemila anni di storia e filosofia, possiamo ignorare il nostro archetipo? E la dura realtà contemporanea? Passato e presente s'intrecciano in un processo in continua evoluzione. Leggenda e storia, mito e cronaca, i decumani e il sottosuolo, fede e superstizione si mescolano ogni giorno. San Gennaro è l'anima di Napoli e a Napoli è tragicamente di casa l'omicidio. Il poliziesco napoletano s'inserisce tra il romanzo sociale, la commedia e il dramma, ma non accetto l'idea della commedia gialla che diverte. Un giallo non deve divertire ma inquietare. Non romanzo d'evasione, perciò, ma d'invasione. Ovviamente con ironia e umorismo, il sale della narrativa. Bisogna saper dosare gli ingredienti. Troppa commedia non si concilia con il ritmo della detective story e del thriller. Molti hanno paura a scrivere un giallo all'ombra di Partenope per le troppe insidie ad ogni angolo di vicolo. C'è il rischio concreto di scadere nell'oleografia e nei luoghi comuni. Per evitarlo, occorre trovare una dimensione letteraria della metropoli evitando una duplicazione nel puro fatto di cronaca. Bisogna partire dai miti e dalla storia, dall'essenza del lievito primordiale nascosto nelle pieghe e nelle piaghe della città. E raccontarla con un'elevata carica di drammaticità, senza mai scadere nel folclorismo.

Dopo "Un mistero occitano per il commissario Abruzzese" (finalista al premio Scerbanenco nel 2002) ci saranno a breve altri suoi romanzi in libreria?
Ho appena finito l'editing del prossimo romanzo che uscirà a marzo. Giallo, naturalmente. E napoletano, dopo aver scritto "Un mistero occitano per il commissario Abruzzese".

Se esiste una "via napoletana al giallo", chi sono secondo lei gli autori che oggi la stanno percorrendo?
Nomi non ne faccio. Elogi e stroncature non si liquidano in due parole. Ho detto, poco fa, molta quantità e poca qualità. Si può migliorare. Bisogna faticare, le premesse ci sono tutte per l'autentica espressione di un modello capace di fare scuola sull'esempio di Bologna e Milano. Purtroppo ho letto di esordienti che si sono già candidati a guida da imitare. La verità è che la scrittura è sacrificio, delusione, ricerca, impegno, fallimento. Prima ancora che degli autori bisognerebbe parlare degli editori. Un po' tutte le case editrici hanno inaugurato una collana del brivido, gialla o nera che sia. Spesso senza neppure la guida di un esperto. Esistono comunque aggregazioni interessanti come Il pozzo e il pendolo ed altre virtuali, come ‘Nzularchia, che contribuiscono a far emergere gli appassionati dell'intrigo in riva al golfo.




da avvenire
Leopardi vulcanologo

Con una relazione su «Leopardi poeta vulcanologo: una rilettura de “La Ginestra”», il giornalista e scrittore napoletano Massimo Siviero ha reso nota nei giorni scorsi a Montalto Uffugo, in provincia di Cosenza, una originale interpretazione: l’osservazione attenta e tempestiva di determinati fenomeni fisici, fatta dal poeta nei panni di un «villanello», può aiutare a evitare una catastrofe naturale. Questo Leopardi poeta-vulcanologo è emerso in occasione della proclamazione del vincitore di una borsa di studio su «Leopardi e la scienza». Nel 1834, durante il suo soggiorno a Napoli, Leopardi assistette infatti a una eruzione del Vesuvio ed ebbe modo di verificare come le variazioni di livello e temperatura dei pozzi artesiani costituissero un’avvisaglia della ripresa di attività del vulcano.



C’è un giallo
sul primo giallo
all’italiana
———

Napoli contro Firenze. O,
meglio, Francesco Mastriani
contro Jarro. Autore, il primo,
de «Il mio cadavere», un
romanzo del 1852 che, secondo
il critico Massimo Siviero,
rappresenterebbe il primo
esempio di racconto poliziesco
italiano. Una primogenitura
che Siviero ha già sostenuto nel
suo saggio «Come scrivere un
giallo napoletano» (edito l’anno
scorso da Graus) e che torna a
difendere oggi, dopo la
pubblicazione presso Aliberti
de «I ladri di cadaveri» del già
ricordato Jarro, al secolo il
fiorentino Giulio Piccini: un
libro del 1883 che viene
presentato dal curatore Claudio
Gallo come la prima detective
story firmata da un italiano.
Una definizione che, secondo
Siviero, va invece attribuita al
romanzo del partenopeo
Mastriani. Da notare che, in
ogni caso, gli autori di casa
nostra giocano d’anticipo.



Bibliothèque nationale de France

Dell'opera di Massimo Siviero si è anche occupata la Bibliothèque nationale de France, nella tematica relativa agli autori contemporanei stranieri di lingua e letteratura italiana. La Bibliothèque ricorda che Massimo Siviero, autore di polizieschi e noir e specializzato nel "polar napolitain", come saggista ha anche individuato una tipologia letteraria relativa al "giallo napoletano" e scritto un manuale di storia e scrittura del poliziesco. La ricerca si è infine soffermata sul sito di Siviero che si occupa della biografia e della bibliografia delle sue opere e degli articoli scritti su di lui.







 
 
 
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